Giornata Mondiale della Poesia 2018

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Il 21 marzo, nella data che segna anche il primo giorno di primavera, si è celebra la Giornata Mondiale della Poesia proclamata dall’Unesco nel corso della 30° Sessione della Conferenza Generale Unesco, tenutasi a Parigi il 15 novembre 1999. Questa Giornata riconosce all’espressione poetica un ruolo privilegiato nella promozione del dialogo e della comprensione interculturali, della diversità linguistica e culturale, della comunicazione e della pace.

La celebrazione rappresenta anche «l’incontro tra le diverse forme della creatività — spiega la Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco —; tra le diverse forme di espressione, infatti, ogni società umana guarda all’antichissimo statuto dell’arte poetica come ad un luogo fondante della memoria, base di tutte le altre forme della creatività letteraria ed artistica».

Numerosi gli eventi organizzati per l’occasione in ogni parte del mondo dove le diversità culturali e l’universalità delle emozioni hanno rappresentato i messaggi e le sfide della poesia di oggi.

PORTORICO
Nuova libreria virtuale

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Dopo diversi mesi di programmazione e intenso lavoro è stata messa online una nuova libreria virtuale delle Paoline del Portorico: www.paulinaspr.com.

Il sito è stato aggiornato nella lingua e nella disposizione dei contenuti.

Attraverso questa presenza in rete e con la sua intensa attività nei social network, le Paoline, insieme ai loro collaboratori, intendono raggiungere un numero maggiore di persone, specialmente il pubblico ispanico dell’isola caraibica e degli Stati Uniti, facendo conoscere il loro catalogo: libri, audiovisivi e oggetti liturgici. Non mancano proposte di incontri di formazione che si svolgono nei centri di diffusione. Affidiamo questa nuova iniziativa apostolica ai fondatori: il Beato Giacomo Alberione e la Venerabile Tecla Merlo.

Verso il Sinodo dei giovani: L’ascolto passa dalla rete

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L’appuntamento si avvicina. La XV Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, a ottobre 2018, vedrà protagonisti in prima linea i giovani di tutto il mondo.

La Chiesa si pone in “ascolto” delle nuove generazioni. Un Sinodo sui giovani, ma che nelle intenzioni rivelate da Papa Francesco nell’annunciarlo vuole soprattutto essere un appuntamento dei giovani.

Loro al centro dell’attenzione – scrive il Papa – perché «vi porto nel cuore».

Per questo la Chiesa intende coinvolgerli da protagonisti e, soprattutto, convocandoli, dal 9 al 24 marzo 2018, per incontrarli e dare spazio per esprimere le loro aspettative e i desideri, le incertezze e le preoccupazioni nelle complesse vicende del mondo odierno. Una opportunità che arricchirà la fase di consultazione già avviata con la pubblicazione del Documento Preparatorio ed il relativo Questionario. Un anno dunque in ascolto della voce, della fede, dei dubbi e delle critiche dei giovani. Di tutti, anche quelli più lontani dalla Chiesa, perché i sogni e il futuro non lasciano fuori nessuno. Alla ricerca di “campo” per sintonizzarsi sulle loro frequenze, connettersi nei loro spazi, incontrarsi nel respiro di un post, nell’attimo di un selfie…

Un Sinodo che intende essere “interattivo” nelle strategie e nei canali per informare, condividere, progettare, ascoltare e celebrare. Da mesi la Segreteria generale del Sinodo dei vescovi ha aperto un canale online in diverse lingue, il sito youth.synod2018.va con «L’intento di promuovere una più ampia partecipazione di tutti i giovani del mondo, non solo ricevendo informazione sull’evento sinodale ma anche interagendo e partecipando nel cammino di preparazione».

Un anno in cui siamo invitati ad aprirci, a pensare strade nuove, camminare assieme, intercettare i dubbi, le critiche, le speranze… riguardo una Chiesa che a volte sembra troppo distante dal mondo incerto e fluido in cui i nostri ragazzi e ragazze vivono le relazioni, costruiscono la propria identità, progettano la vita.

Mi sembra interessante, lasciarci provocare da alcune espressioni di Papa Francesco nell’incontro con i Vescovi del Brasile, nell’Arcivescovado di Rio de Janeiro, il 27 luglio 2013, durante la Giornata Mondiale della Gioventù.

«Il mistero difficile della gente che lascia la Chiesa; di persone che, dopo essersi lasciate illudere da altre proposte, ritengono che ormai la Chiesa – la loro Gerusalemme – non possa offrire più qualcosa di significativo e importante. E allora vanno per la strada da soli, con la loro delusione.

Forse la Chiesa è apparsa troppo debole, forse troppo lontana dai loro bisogni, forse troppo povera per rispondere alle loro inquietudini, forse troppo fredda nei loro confronti, forse troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei propri rigidi linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un relitto del passato, insufficiente per le nuove domande; forse la Chiesa aveva risposte per l’infanzia dell’uomo ma non per la sua età adulta. Il fatto è che oggi ci sono molti che sono come i due discepoli di Emmaus; non solo coloro che cercano risposte nei nuovi e diffusi gruppi religiosi, ma anche coloro che sembrano ormai senza Dio sia nella teoria che nella pratica.

Di fronte a questa situazione che cosa fare? Serve una Chiesa che non abbia paura di entrare nella loro notte. Serve una Chiesa capace di incontrarli nella loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione. Serve una Chiesa che sappia dialogare con quei discepoli, i quali, scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto, con la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di generare senso […]

Davanti a questo panorama, serve una Chiesa in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è gente che si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è necessario saper leggere il tutto con coraggio. Gesù diede calore al cuore dei discepoli di Emmaus.

Vorrei che ci domandassimo tutti, oggi: siamo ancora una Chiesa capace di riscaldare il cuore? Una Chiesa capace di ricondurre a Gerusalemme? Di riaccompagnare a casa? In Gerusalemme abitano le nostre sorgenti: Scrittura, Catechesi, Sacramenti, Comunità, amicizia del Signore, Maria e gli Apostoli… Siamo ancora in grado di raccontare queste fonti così da risvegliare l’incanto per la loro bellezza?1

La parola è un appello che richiede una mobilitazione dell’essere e una tensione verso gli altri:

Il modo in cui ci realizziamo in quanto persone rimanda alla capacità di rivolgere agli altri (e di ricevere da loro) una parola propria. Sta qui il paradosso, nella necessità che abbiamo di costruire la nostra personalità, la nostra individualità in quanto persone, attraverso il gioco della parola scambiata. La parola, così, è sostanzialmente un intermediario tra me e me, tra me e il mondo, tra il mondo e me. La sua finalità è questa. Il senso di qualsiasi parola è di farci arrivare all’umano. 2

Parola e ascolto sono dunque relazionali: la presenza dell’altro implica l’apertura dello spazio dell’interrogazione. La comunicazione è legata a un rimbalzo di domande che rendono l’ascolto non una dimensione di passività ma un’attitudine a lasciarsi invadere, scomodare dalla domanda: chi chiede, interroga, sta offrendo l’opportunità di rispondere, sta avviando un dialogo, ponendosi in una disponibilità affettiva.

Gli adolescenti di oggi sono cresciuti assieme a Internet, sempre in contatto, vedono e ascoltano quello che vogliono, quando vogliono. Si raccontano attraverso i video di YouTube, le storie e le foto su Instagram, i post e i link su Facebook, i messaggi su Snapchat e le conversazioni su Whatsapp.

Scrivono e pubblicano i loro racconti e romanzi su Wattpad. I social media, per loro, sono spazi per essere aggiornati su ciò che succede nel mondo, ambienti in cui raccontare e raccontarsi, per arrabbiarsi e impegnarsi, per confrontarsi e dialogare, per partecipare e esserci.

Per Paulo Freire la parola è qualcosa di più che un semplice strumento che mette in relazione; è parola e riflessione, perché «non esiste parola autentica che non sia prassi. Quindi, pronunciare la parola autentica significa trasformare il mondo».

Ma queste sono storie del prossimo numero.

Maria Antonia Chinello, FMA


1 http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2013/july/documents/papa-francesco_20130727_gmg-episcopato-brasile.html

2 Cf Barcellona Pietro, La parola perduta. Tra polis greca e cyberspazio, Bari, Edizioni Dedalo 2007. Dello stesso autore, anche Elogio del discorso inutile. La parola gratuita, Bari, Edizioni Dedalo 2010.


Gaudete et Exsultate: La santità della porta accanto

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Gaudete et Exsultate è la terza esortazione apostolica scritta da Papa Francesco per «incarnare la santità nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità». Dio chiama a essere santi nelle pieghe della vita quotidiana. Santi, non supereroi. Un invito rivolto a tutti. Nessuno escluso.

La santità della porta accanto, è questa la tesi del Papa. «Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente. Nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere».

Papa Francesco elogia il «genio femminile che si manifesta in stili femminili di santità, indispensabili per riflettere la santità di Dio in questo mondo». Cita Ildegarda di Bingen, Brigida, Caterina da Siena, Teresa d’Avila e Teresa di Lisieux, Edith Stein, per sottolineare che «anche in epoche nelle quali le donne furono maggiormente escluse, lo Spirito Santo ha suscitato sante il cui fascino ha provocato nuovi dinamismi spirituali e importanti riforme nella Chiesa».

Ma la storia della Chiesa, sottolinea ancora il Papa, la fanno anche «tante donne sconosciute o dimenticate le quali, ciascuna a modo suo, hanno sostenuto e trasformato famiglie e comunità con la forza della loro testimonianza».

Come Paoline possiamo far nostro il grido d’allarme del Pontefice a non cadere nella tentazione di una «informazione superficiale» evidenziando al numero 108 «come le forme di comunicazione rapida e virtuale possono essere un fattore di stordimento che si porta via tutto il nostro tempo e ci allontana dalla carne sofferente dei fratelli». L’invito di Papa Francesco può diventare il nostro percorso verso la santità: «In mezzo a questa voragine attuale, il Vangelo risuona nuovamente per offrirci una vita diversa, più sana e più felice».

Premio Donne di coraggio

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Classe 1944, nativa di Sondrio, consacrata della Congregazione religiosa delle Suore di Santa Giovanna Antida Thouret, sr Maria Elena Berini ha ricevuto dalle mani della first lady statunitense, Melania Trump, il premio internazionale Donne di coraggio (International Women of Courage Award), che viene assegnato ogni anno a 10 donne, scelte in tutto il mondo.

A segnalare la religiosa italiana è stata l’ambasciata americana presso la Santa Sede, che è venuta a conoscenza della sua attività meritoria.

Dal 1972 al 2007 sr Maria Elena è missionaria in Ciad, poi viene inviata nella Repubblica Centrafricana, dove tuttora svolge il suo impegno pastorale, in una zona al confine con il Ciad e il Camerun. Il suo lavoro è sempre in ambito educativo, ma la situazione è molto precaria. Il conferimento del premio è legato al suo coraggio e, soprattutto, alla sua capacità di essere donna di speranza in un contesto difficilissimo, quello di Bocaranga, attraversato da conflitti, scontri, violenze ed episodi di guerriglia. Restò coinvolta in un attacco dei ribelli del movimento “Trois R” e offrì rifugio, nelle strutture della chiesa, ai profughi scappati dai loro attacchi. «Nonostante tutto continuiamo a sperare che la pace sia possibile», è il pensiero di sr Maria Elena; «la preghiera di tante persone che ci sono vicine e ci sostengono ci dà la forza per stare accanto ai nostri amici del Centrafrica: non sappiamo cosa ci riserva il futuro, ma sappiamo che Dio, in silenzio, è con noi».

A sr Maria Elena Berini le nostre congratulazioni per questo prestigioso premio che dona riconoscimento a tutta la vita religiosa femmine.

Identità, relazioni, conoscenza online

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Milioni di persone in tutto il mondo utilizzano i social network. Molti dei temi di cui si discute nel dibattito pubblico ruotano attorno a questioni legate alla rete – dalla perdita della privacy al cyberbullismo, dalle fake news alle conseguenze della diffusione di Internet sui processi democratici.

È sotto i nostri occhi il fatto che la rete sia ormai parte integrante della nostra vita. Siamo costantemente connessi al punto tale che non riusciamo più a distinguere i confini fra online e offline. Le tecnologie digitali sono diventate ormai protesi del nostro corpo. La diffusione del mobile, degli smartphone e della connessione wireless ha generato uno spazio senza soluzione di continuità fra quella che un tempo veniva chiamata la vita “reale” e il “virtuale”, con conseguenze importanti a livello individuale, di gruppo e della società più in generale.

Nei social network contribuiamo a costruire la nostra identità, coltiviamo relazioni sociali e sempre più alimentiamo la conoscenza di ciò di cui non abbiamo esperienza diretta. Queste tre dimensioni definiscono il nostro rapporto con il mondo e su queste occorre riflettere. Tanto più in un’ottica pastorale. Proviamo a focalizzare la riflessione sulle tre dimensioni appena elencate.

Costantemente lasciamo online “tracce” di noi che contribuiscono a definire la nostra identità. Ciò che gli altri dicono o pubblicano di noi, così come le “tracce” che noi stessi lasciamo online, tanto in maniera consapevole quanto inconsapevole – come quando facciamo una ricerca su Google, mettiamo un “mi piace” a un post su Facebook o pubblichiamo una foto su Instagram – devono essere coerenti. Se non c’è coerenza fra questi diversi tipi di informazioni, le relazioni di fiducia con gli altri con i quali siamo in contatto potrebbero venire compromesse. Le “tracce” che lasciamo in rete afferiscono a diverse sfere: personale, amicale, professionale. Sullo stesso profilo Facebook, non è possibile separare specifici interessi, così come le proprie relazioni personali di tipo familiare e amicale con l’appartenenza all’istituzione Chiesa.

La religiosa che si esprime online lo fa anche a nome della propria congregazione. Ciò che posta, twitta o condivide non sarà mai esclusivamente espressione di un punto di vista personale in quanto le nostre “identità multiple”, formate da un insieme di ruoli diversi che si mescolano tra loro, si esprimono contemporaneamente attraverso i nostri account, si fondono in un unico ambiente, senza lasciare la possibilità concreta di distinguere fra la propria sfera personale, nella quale si sommano già diversi ruoli (figlie, amiche, sorelle, ecc.), con il ruolo istituzionale che si ricopre. Dobbiamo essere coscienti di queste logiche perché, come ci ricorda Papa Francesco (2014), la qualità della presenza della Chiesa nei social media si basa sulla pertinenza, sulla credibilità, sull’autenticità delle interazioni che chi si esprime a suo nome mette in pratica ogni giorno.

In secondo luogo, i social network sono ambienti di relazione, nei quali siamo al centro di un network ego-centrato di relazioni dove sviluppiamo sia legami deboli, con persone con cui c’è una conoscenza superficiale e sporadica, sia legami forti, con persone che fanno già parte in maniera significativa della nostra vita quotidiana. I social network non sono però ambienti che ci isolano dalle relazioni nelle quali siamo già coinvolti offline, come da più parti si è spesso sostenuto.

Una ricerca realizzata dall’Associazione Webmaster Cattolici Italiani (WeCa) ha evidenziato ad esempio che le religiose riproducono nel social network i legami interni alla propria comunità religiosa di appartenenza. Nella costruzione del proprio network, le religiose prediligono il rapporto di “amicizia” con le proprie consorelle, indipendentemente dal fatto che siano “vicine” geograficamente, perché vivono nella stessa comunità, o “lontane” come accade con le missionarie che vivono in altri paesi, supplendo a una mancanza di rapporto face to face.

Il social network è però anche un ambiente nel quale coltivare relazioni con i fedeli. Le relazioni coltivate online possono rappresentare una risposta alle trasformazioni dell’organizzazione ecclesiastica sul territorio, al cambiamento delle forme del credere religioso e alle stesse condizioni di vita degli individui. Facebook e i social media in generale consentono di promuovere un’individualizzazione e una personalizzazione della relazione. Ne possono scaturire diversi stili di presenza che dipendono da caratteristiche personali, background culturale e sociale, esperienze e relazioni pregresse, tipo di incarico ricoperto all’interno dell’istituzione ecclesiastica, così come dalle caratteristiche della comunità cui si appartiene.

Attraverso le relazioni interpersonali e informali che avvengono online, nelle quali esprimiamo noi stessi e conosciamo l’altro al di fuori dell’ufficialità del ruolo che ricopriamo, è possibile spesso rafforzare alcuni rapporti o instaurarne di nuovi.

Infine, da sempre i media ricoprono un ruolo importante nel nostro rapporto con il mondo. Se è vero che ciò che sappiamo lo apprendiamo sempre più spesso dai media e agiamo in conseguenza di ciò che riteniamo essere vero, come ci ha insegnato già Platone attraverso il mito della caverna, conoscere le logiche che regolano i flussi comunicativi in rete ed essere in grado di incidere nei processi di conoscenza costituisce un obiettivo imprescindibile da cui non può sottrarsi chi ricopre un ruolo all’interno della Chiesa.

Come afferma papa Francesco nel messaggio per la giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2018, occorre riflettere sulle cause, sulle logiche e sulle conseguenze delle notizie false o fake news. Più in generale diventa sempre più urgente apprendere le regole secondo le quali si produce informazione e conoscenza nell’epoca delle reti sociali, tenendo conto che sempre più gli utenti si informano attraverso i social network e i servizi di instant messaging. Per farlo è necessario acquisire “competenze digitali”: un impegno cui non può sottrarsi chi è chiamato a un impegno pastorale all’interno di una comunità religiosa i cui membri saranno sempre più connessi e “influenzati” da ciò che ricevono e remixano in rete.

Se vogliamo “incidere” nella società non possiamo sottrarci dal raccogliere la sfida e le opportunità che il nuovo contesto comunicativo ci pone davanti. Occorre farlo però conoscendo le regole e le logiche che governano tali ambienti comunicativi.

Rita Marchetti
Università degli studi di Perugia


Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina

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Giunto alla 28a edizione, si è svolto a Milano, dal 18 al 25 marzo, il Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina. Dedicata alla cinematografia dei tre continenti, la manifestazione ha offerto una particolare attenzione ai temi delle migrazioni e delle identità culturali. Venticinque film in prima visione nazionale, tre in prima mondiale e dodici cortometraggi tutti africani, selezionati su circa 600  opere arrivati dai tre continenti.

La rassegna quest’anno ha premiato il cinema al femminile: le donne che raccontano le donne nei contesti sociali e culturali dei loro Paesi. Aya e I am not a witch sono rispettivamente il corto e il lungometraggio vincitori del festival. Entrambi sono stati diretti da due donne, la regista tunisina Fedhila Moufida e la zambiana Rungano Nyoni.

Anche nel toccante cortometraggio africano Waiting for Hassana gli occhi di una donna, la nigeriana Funa Maduka, al suo esordio alla regia, ripercorrono una vicenda straziante al femminile: quella delle 276 studentesse nigeriane della scuola di Chibok rapite nel 2014 dalla setta fondamentalista islamica Boko Haram.

Nella giuria, per l’assegnazione del premio SIGNIS (OCIC e UNDA), era presente anche sr Cristina Beffa delle Figlie di San Paolo.

 

FILIPPINE
Una comunione di cuori e voci

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Nella città di Iloilo, in collaborazione con l’Associazione dei Cooperatori Paolini e con la Commissione Liturgica dell’Arcidiocesi di Jaro, le Paoline hanno organizzato, per la Quaresima e la Pasqua, un giorno di ritiro spirituale e un seminario sulla musica liturgica.

Il ritiro, a cui hanno partecipato 428 persone, è stato condotto da padre Manoling Francisco SJ, professore della Loyola School of Theology e famoso compositore filippino che ha prodotto più di 150 canzoni e musiche liturgiche. Il ritiro, oltre al canto, ha messo in rilievo lo spirito di preghiera per sottolineare il sacrificio di Gesù.

Nel workshop del pomeriggio, abilmente guidato da padre Manoling e dai cantanti dei Bukas Palad, la grande assemblea è stata divisa in quattro voci diverse (soprano, contralto, tenore e basso). Una grande armonia ha invaso l’assemblea e la sala.

Tutti hanno sperimentato una grande comunione di cuori e di voci. Un incontro con Dio come comunità orante.