3° Domenica di Quaresima 2010

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LETTURE: Es 3,1-8a.13-15; Sal 102;1Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9

DAL VANGELO SECONDO LUCA

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici.

rendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?

No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

LA (MIA) VITA È BELLA?

Le domande più sbagliate che si possono porre a Dio iniziano tutte con il “perché”. Perché c’è il dolore innocente? Perché muoiono i giovani, i bambini, gli operai sul lavoro? Anche i contemporanei hanno chiesto a Gesù il perché della morte di quei poveri cristi uccisi per mano dei soldati di Pilato, o di quei diciotto sopra i quali rovinò la torre di Siloe. Un ebreo quando si fa questo tipo di domande non mette in discussione l’esistenza di Dio, che per lui è una limpida certezza, ma la moralità dei defunti: se sono morti così allora avranno avuto certamente un peccato nascosto da espiare. Gesù elimina il nesso tra disgrazia e peccato: chi subisce prove dolorosissime nella vita, non è detto che sia un castigato da Dio.

E allora, perché si muore così? Il Maestro non risponde al “perché” e reimposta la questione modulandola sul “come”. Non è importante quanto tempo si vive o in quale circostanze si muore; l’importante è sapere che, se non mi converto, posso anche continuare a campare, ma la mia vita saprà di morte, di “incidentalità”, di caso. Se non amo sono già morto, anche se vivo cent’anni. Dio non valuta la qualità della nostra esistenza con il calendario in mano ma con il metro dei frutti dello Spirito: dove c’è pace, gioia, benevolenza, affabilità allora la vita è bella e vale la pena viverla. Altrimenti morire in un incidente a trent’anni o a novanta mentre si dorme placidamente non fa una gran differenza. Se non ho la carità sarò sterile come un fico pieno di foglie ma senza frutti, sia che abbia trent’anni come cento.

Gesù inaugura un modo totalmente nuovo di valutare l’esistenza. E io come la valuto? Che senso do ai miei compleanni? Quando posso dire: la mia vita è bella? Quando ci mettiamo davanti alla morte stoltamente pensiamo: quando giungerà la fine avrò fatto in tempo a realizzare i miei bei progetti “apostolici”? Ma questo è un modo di pensare pagano. La vera domanda è: quanto tempo ho ancora a disposizione per convertirmi alla carità, al perdono, alla benevolenza?

Chiediamo a Dio di aggiungere non tanto giorni alla vita, ma vita ai nostri giorni. E vita nello Spirito.

don Giuseppe Forlai, igs


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