Social Network

don Alessandro Paone

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Social network: o lo ami o lo detesti, difficile una via di mezzo. Se poi si chiede in giro cosa siano, difficilmente se ne viene a capo.

La risposta più gettonata è: Facebook. Sì, ma cos’è Facebook? “È un sito dove ti iscrivi e puoi scambiare parole, foto, link e pensieri con i tuoi amici”. E, in effetti, un social network è proprio questo: un luogo virtuale dove potersi mettere in bella vista, creare e/o mantenere relazioni con un determinato gruppo di persone.

La traduzione letterale di social network è rete sociale, un gruppo unito da affinità sociali, territoriali, interessi, hobby, ecc. Facebook, letteralmente libro delle facce, fu creato da Mark Zuckerberg all’università di Harvard per mettere in contatto i vari studenti (4 febbraio 2004), ma ben presto fecero richiesta di iscrizione anche da altre università per poi aprirsi al mondo intero l’11 novembre del 2006.

Il fenomeno dei social network, sviluppato grazie all’avanzare del processo di informatizzazione e al digital divide in decrescita, ha avuto in incremento esponenziale grazie a due elementi molto importanti per l’essere umano.

  1. Il bisogno di relazione. La globalizzazione e la vita in grandi città sono spersonalizzanti. I social network aiutano a rimanere in contatto in modo veloce e a costo pari a zero, con il proprio gruppo sociale e con la possibilità di ampliarlo in base ai propri interessi, desideri e attitudini.
  2. La necessità di manifestare il proprio io. Sempre a causa della globalizzazione, le persone rischiano di perdersi e di identificandosi non più con se stessi, ma con la massa. I social network, oltre a favorire la creazione di gruppi per interesse, sono anche una sorta di vetrina dove è possibile mettere in bella mostra la propria identità, reale o ricostruita, dando la possibilità di “esistere” ed emergere rispetto alla massa. È qui che la forza delle immagini prende il sopravvento su quella dei contenuti, attraendo il “visitatore”, come le sirene di Ulisse, con la forza della “figurazione”.

Marck Zuckerberg, basandosi sull’idea di Frigyes Karinthy (1929) dell’esistenza di un massimo di sei gradi di separazione tra un soggetto e l’altro, ha l’ambizioso progetto di creare un servizio in grado di mappare tutti i rapporti esistenti tra le persone.

Pensando a quanto fatto da san Paolo, spinto dall’azione dello Spirito, dobbiamo non farci scappare questa grandissima possibilità. L’Apostolo dei gentili, instancabile evangelizzatore, è andato in posti a lui sconosciuti, ha intessuto relazioni, mantenuto legami attraverso lettere e inviando persone a lui care alle comunità da lui fondate. Se pensiamo alle community presenti nel web, la possibilità di contatto via email, chat, videochat e telefonate, e-conference, ci rendiamo ben presto conto che abbiamo a disposizione strumenti assai più veloci ed efficaci per diventare i nuovi evangelizzatori mettendoci nel nuovo Cortile dei gentili. Paolo VI (Evangelii nuntiandi, 45), riferendosi ai mezzi di comunicazione sociale, ci ricorda che la Chiesa «si sentirebbe colpevole di fronte al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi». Se un’esortazione così forte e viva viene fatta nel 1975, non possiamo eluderla oggi, costantemente incitati dal Papa a vivere i media come luogo di evangelizzazione.

Oggi, a trentasei anni di distanza, Benedetto XVI nel messaggio per la 45° Giornata mondiale per le comunicazioni sociali dice che «sta nascendo un nuovo modo di apprendere e di pensare, con inedite opportunità di stabilire relazioni e di costruire comunione», ovvero adoperarci per l’evangelizzazione. In questo i social network sono certamente un grande aiuto.

Se san Paolo fosse vissuto ai nostri giorni non si sarebbe fatto scappare l’opportunità dei new media, utilizzando non solo le tradizionali lettere, ma anche le email, Youtube e i social network. Certo, non come unico mezzo per comunicare, ma integrandoli al contatto umano e come prosecuzione di esso.

In questo modo, vivono la stragrande maggioranza dei fruitori di Facebook: una situazione di continuità tra la relazione faccia a faccia (la quale vive del calore, dello sguardo, della “pacca” sulla spalla) e la relazione online (limitata dall’assenza – ma soltanto del corpo dell’interlocutore – e vissuta come il prolungamento di una relazione già avviata). Il reale e il virtuale non sono dunque in contrapposizione, ma sono l’uno in aiuto dell’altro. Quest’ultima considerazione sfata il mito di un’evangelizzazione fatta esclusivamente “dalla poltrona di casa”.

Ultimo elemento portante è la gestione delle relazioni. Su Facebook è facile aggiungere “amici” al proprio profilo, e il sistema permette di averne fino a un massimo di 5000. Ma la questione è un’altra.

L’evangelizzazione ha necessariamente bisogno di relazioni, e abitualmente riusciamo a gestirne non più di venti in modo attento e fruttuoso. Questo significa che, se è vero che possiamo entrare in contatto in modo più veloce con i nostri “amici”, è pur vero che non è possibile gestirli tutti, almeno non allo stesso modo.

Tutte queste considerazioni non vogliono demonizzare i new media, anzi, servono per collocarli al giusto posto e tranquillizzare chi pensa che essi possano sostituirsi alla persona. Il Signore della vita ha scelto l’uomo per incarnarsi; un Uomo che ha camminato sulla terra, che è entrato in contatto con uomini e donne di ogni età, che ha intessuto relazioni di diverso tipo e di diversa valenza con molte persone, che ha deciso di inviare uomini a evangelizzare. È la persona che annuncia, con l’ausilio dei potenti mezzi della comunicazione, con la forza della testimonianza della propria vita, ma soprattutto facendo vedere che, dietro la propria vita, c’è l’amore grande del Signore risorto.


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