4° Domenica di Quaresima 2010

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Letture Gs 5,9a.10-12; Sal 33; 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. … Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto.

Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. …   Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse in‐ contro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, per‐ ché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.  …

IMPARIAMO A STAR MALE

Una delle più grandi grazie della vita cristiana consiste nell’accorgersi che si sta vivendo male. Di solito si fa questa scoperta quando l’esistenza è andata già a rotoli da un pezzo, in maniera morbida e sorda, quasi sotterranea. Lo sfascio soft! Il figlio minore della parabola lucana si accorge che le cose non vanno in un momento preciso: guardando il cibo che ha tra le mani. Ghiande per porci. E allora la sua mente ha fatto una operazione di ripescaggio delle cose autentiche: a casa di papà si mangiava bene, eccome. Anche i servi erano trattati da signori. Quelle ghiande per porci hanno aperto gli occhi al figlio ribelle. Sono state “luce” per vedere la miseria del cuore e “parole” per udire l’annuncio di una possibilità. Star male è cosa buona. Far finta di star bene è operazione demoniaca.

Certo non intendiamo lo “star male” di chi sta sempre male per far star male gli altri, della vittima cosciente che si fa carnefice. Intendiamo esattamente quello che sentì il figlio della parabola: sto male perché mi sono ridotto in schiavitù, perché ho svenduto la mia dignità per sopravvivere in tempi di carestia; ho lasciato un padre e ho trovato un padrone; sono partito figlio e mi ritrovo schiavo. Iniziando a dirsi che ci si è ridotti così con le proprie mani, forse si potrà iniziare ad alzarsi e camminare verso la propria dignità di figli ed eredi. Nella parabola di Luca tornare a se stessi e tornare al Padre sono movimenti coincidenti: il Padre è la mia dignità, tornare a lui vuol dire automaticamente lasciarsi abbracciare dell’autentico segreto dell’esistenza personale. Allora: c’è un disagio utile e uno inutile. Impariamo a star male “bene” senza illusioni o rimandi; fermiamoci, non rimandiamo questa consapevolezza con la scusa degli impegni apostolici. Cacciamo via dal cuore quello “star male” dannoso e inutile fatto di rancori, di gelosie, di aspettative irrealistiche. Impariamo a dire a Dio: “Sto male lontano da me e da te, dammi una mano”. Impariamo a dire agli altri: “Qualcosa non va. Ascoltami”. Impariamo a star male “bene”, con speranza e umiltà. Apriamo gli occhi ai segni indicatori delle schiavitù morbide, invisibili; chiniamoci sul campo del nostro cuore e contiamo le ghiande dei porci. E una conta che ripaga. Garantisco di persona.

don Giuseppe Forlai, igs


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